Con la sentenza n. 1811 del 25/10/2012 il TAR Puglia – Lecce si è pronunciato in merito alla controversa questione relativa alle incompatibilità dei giudici tributari, in particolare sulla necessità di una preventiva diffida a cessare l’attività professionale incompatibile. I Giudici amministrativi salentini hanno dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957, del decreto con il quale il Ministero delle Finanze ha dichiarato decaduto dall’incarico un giudice della commissione tributaria provinciale, motivato con riferimento alla sussistenza della situazione di incompatibilità di cui all’art. 31 l. n. 449 del 1997 (per svolgimento di attività di consulenza tributaria), nel caso in cui tale decreto non sia stato preceduto dalla concessione, da parte della P.A. all’interessato, di un congruo termine per rimuovere la causa di accertata incompatibilità. Invero, benché l’art. 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, che prevede la decadenza, non disciplini il procedimento a seguito del quale è dichiarata la decadenza stessa, limitandosi ad individuare le autorità che concorrono alla sua dichiarazione, ciò non esclude l’applicazione alla decadenza in parola di un istituto di carattere generale, contemplato dall’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957 – corpo normativo che regola il pubblico impiego non contrattualizzato e che è richiamato dall’art. 16, secondo comma, del R.D. n.12/1941 (Ordinamento giudiziario) – il quale prevede la preventiva diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità entro quindici giorni dalla comunicazione della stessa. Il TAR Lecce evidenzia che l’istituto della diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità entro quindici giorni dalla comunicazione della stessa, trova la sua ragion d’essere: a) nella opportunità (ritenuta dal legislatore) della formulazione, da parte dell’amministrazione, di una valutazione in concreto in ordine alla situazione di incompatibilità; b) di conseguenza, nella concessione di un termine entro il quale deve cessare la situazione di incompatibilità. Tali giustificazioni hanno ragion d’essere nei confronti sia del pubblico impiegato che del magistrato, atteso che l’uno e l’altro sono al servizio della legge; la validità delle stesse non è certamente esclusa dalla ipotetica maggiore conoscenza della norma da parte del magistrato, dato che la funzione della diffida risiede nella valutazione dell’amministrazione in ordine all’esistenza della situazione di incompatibilità, valutazione che svolge la stessa funzione nei confronti dell’impiegato e del magistrato. Valutazione che appare tanto più opportuna in una situazione normativa contraddistinta da numerosi interventi del legislatore (art. 8,lett. i), del d.lgs. n.545 del 1992, art. 31 della legge n.449 del 1997, art. 84, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342 e successivamente art. 39, comma 2, lettera c), numero 2), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ) e quindi dalla necessità di precisare il comando normativo. Né si può ritenere che la diffida sia surrogata dall’inizio del procedimento volto alla dichiarazione della decadenza, sia per l’ontologica differenza fra i due momenti del procedimento, sia perchè l’ottemperanza alla diffida esclude la dichiarazione della decadenza, mentre la cessazione dalla situazione di incompatibilità dopo l’inizio del procedimento, proprio perché questo è finalizzato alla dichiarazione della decadenza determinata dalla situazione antecedente all’inizio del procedimento stesso, non ha il medesimo effetto.