Cassazione Sezione Tributaria ordinanza n. 23314 del 9.11.2011
Non basta la mera dichiarazione del gestore perché l’immobile “religioso” non sia soggetto al versamento dell’ i.c.i. Per fruire dell’agevolazione è necessario comprovare che l’attività assistenziale svolta nell’immobile non abbia caratteri commerciali. (Così secondo la Cassazione il ricorso va accolto “per manifesta fondatezza del primo mezzo, in applicazione del condiviso principio secondo cui ‘In tema di imposta comunale sugli immobili (i.c.i.), l’esenzione dall’imposta prevista dal d.lg. 30 dicembre 1992 n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui il citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino “a priori” il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale”).