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Il riclassamento catastale di un immobile deve essere adeguatamente motivato

8 Lug 2012 | ARCHIVIO STORICO

Cassazione9629-2012

Con la sentenza n. 9629 del 13/6/2012 la Sezione Tributaria della Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “Quando procede all’attribuzione d’ufficio di un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Agenzia del Territorio deve specificare se tale mutato classamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dalla unità immobiliare in questione; oppure ad una risistemazione dei parametri relativi alla microzona, in cui si colloca l’unità immobiliare. Nel primo caso, l’Agenzia deve indicare le trasformazioni edilizie intervenute. Nel secondo caso, deve indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano; rendendo così possibile la conoscenza dei presupposti del riclassamento da parte del contribuente”. Nella fattispecie la CTP (in primo grado) aveva accolto il ricorso di un contribuente avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia del Territorio, sollecitata dal Comune di Napoli, aveva provveduto a

variare il classamento di un’unità immobiliare di pertinenza del contribuente portandola dalla categoria A5 (abitazione di tipo ultrapopolare) a Cat. A2 (abitazione civile), aumentando la rendita catastale da Euro 232,41 ad Euro 510,00. In secondo grado la CTR rilevava un insieme di irregolarità nella procedura di accatastamento, ciascuna delle quali di per sè sufficiente a determinare la nullità dell’accatastamento stesso. L’Agenzia del Territorio propone ricorso in Cassazione, deducendo in particolare la violazione di legge per falsa ed erronea applicazione del combinato disposto dell’art. 61 del DPR 1142/1949, art. 11 comma 1 del d.l. 70/1988 (conv. L. n. 154/1988) e art. 7 legge n. 212/2000. Sul punto l’avvocatura dello Stato sottolinea che in base alla pregressa giurisprudenza della Corte “la motivazione dell’atto di riclassamento può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’ufficio, avendo l’esclusiva funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili da esso nella successiva fase contenziosa nella quale al contribuente è consentito di esercitare il proprio diritto di difesa e di richiedere la verifica dell’effettiva correttezza dei parametri posti a base della riclassificazione eseguita; tuttavia l’accertamento contenzioso non avrà ad oggetto l’idoneità della motivazione ma il

merito della controversia” (Cass. 22313/2010 e Cass. 1937/2012). Nella circostanza la Cassazione ritiene tuttavia di discostarsi, per taluni profili, da questi precedenti, sulla base di alcune considerazioni circa le operazioni di classamento e riclassamento degli edifici. In particolare, alcuni problemi nascono quando un immobile disponga già, come nel caso in esame, di  una categoria, di una classe, di una rendita, ma si prospetti che tale classamento sia divenuto inadeguato per una qualunque ragione. Le cause che possono rendere necessario un riclassamento sono riconducibili a due categorie individuate chiaramente nell’art. 1 commi 335 e 336 della legge n. 311/2004 (il comma 335 riguarda la revisione del classamento delle unità immobiliari private site in microzone comunali, il comma 336 concerne invece l’aggiornamento del classamento catastale per intervenute variazioni edilizie). Si tratta di disposizioni che hanno soprattutto la funzione di stimolare l’intervento attivo dei comuni (senza però privare l’Agenzia del suo autonomo potere di iniziativa), ma che nel contempo ben descrivono la situazione normativa esistente. Il riclassamento – proseguono i giudici di Piazza Cavour – costituisce un atto tributario che ha un dispositivo (o  decisum): il nuovo classamento. Ma ha anche una “causa petendi” giustificativa che è diversa a seconda di quale delle due categorie sopra descritte entri in gioco. Quando si discorra di un mutamento di rendita inquadrabile nella ipotesi di  cui al comma 335, la  causa petendi non è la mera evoluzione del mercato immobiliare, nè la mera richiesta del Comune, bensì l’accertamento di una modifica nel valore degli immobili presenti nella microzona, attraverso le procedure di cui al comma 339, elaborate con Determinazione dell’Agenzia 16 febbraio 2005 cui sono allegate linee guida definite con il concorso delle Autonomie locali. Questo insieme di  provvedimenti ribadisce e presuppone che il classamento debba avvenire mediante l’utilizzo (e nel caso di specie a seguito della modifica) del reticolo descritto. In sostanza, sia il regolamento del 1949, sia quello del 1998 prevedono che la revisione del classamento degli edifici a destinazione ordinaria (fra cui rientra la destinazione abitativa) avvenga nel quadro di una revisione generale di criteri e parametri (salvo ovviamente il caso in cui sia il fabbricato ad avere assunto una diversa consistenza ed articolazione materiale). Dunque, appare conseguente ritenere che l’Agenzia debba nell’atto di riaccatastamento, quanto meno, richiamare quella revisione nei criteri che giustifica l’intervento di modifica dell’accatastamento originario. Quando poi si discorra di un riaccatastamento riconducibile nel comma 336 è ovvio che l’atto dovrà contenere un’indicazione dei fatti specifici che determinano l’adeguamento della rendita. Tuttavia nella fattispecie l’avviso dell’Agenzia del Territorio è  del tutto generico e non chiarisce neppure se ci si trovi a fronte di un riclassamento del tipo di cui al comma 335 o di un riclassamento ai sensi del comma 336. Ciò posto, la Cassazione ritiene che correttamente il Giudice di merito abbia dichiarato nullo, per difetto di motivazione, un siffatto provvedimento, in quanto emesso in contrasto con il principio secondo cui l’accertamento tributario non può limitarsi ad enunciare un dispositivo, ma deve anche indicare il punto di riferimento giuridico o fattuale che giustifica e sorregge il dispositivo stesso, onde, così, delimitare l’oggetto del possibile contenzioso, in cui all’Amministrazione è inibito addurre ragioni diverse, rispetto a quelle enunciate. Così consentendo al contribuente di avere contezza delle ragioni dell’Amministrazione; di valutare l’opportunità di fare o meno acquiescenza al provvedimento, ed in ipotesi di approntare le proprie difese con piena cognizione di causa, nel quadro di una leale collaborazione tra Amministrazione e contribuente. Questo collegamento tra dispositivo e motivazione era, nel caso di specie, tanto più necessario, in quanto venivamo modificate le risultanze di un pregresso atto di classamento ormai sicuramente definitivo. Nel caso, il mutato classamento costituisce un dispositivo intellegibile e, però, la parte motiva è meramente apparente, risolvendosi in un insieme di  espressioni generiche, adattabili a qualsivoglia situazione di fatto e di diritto. Tanto, come già sottolineato, da non consentire neppure di comprendere se il mutato classamento derivi da circostanze riconducibili nell’ambito del comma 335 o del comma 336 della legge n. 311/2004. La Cassazione conclude quindi respingendo il ricorso ed enunciando il principio di diritto (sopra indicato).