Con la delibera n. 162 del 23/4/2012 la Corte dei Conti Campania ha affermato che la ‘tariffa di depurazione’ deve essere determinata in relazione all’obbligazione di fornitura e raccolta d’acqua, ma anche secondo la prognosi delle opere da compiere («adeguamenti necessari») nonché in base all’entità dei costi di gestione e delle aree di salvaguardia, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, e infine considerando i costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito; il tutto comunque in modo da rispettare il pari ordinato principio del «chi inquina paga». I Giudici Contabili partenopei hanno inoltre affrontato la questione dei rimborsi, prendendo le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale 10 ottobre 2008, n. 335 secondo cui la somma pagata dall’utente non costituisce un tributo, che prescinde dall’effettuazione di specifiche prestazioni in virtù del principio dell’irrilevanza della corrispettività, ma una tariffa e come tale rappresenta il corrispettivo contrattuale per il servizio effettivamente fruito dall’utente. In tal senso, può ritenersi che i rapporti di utenza pubblica integrano dei rapporti contrattuali, e come tali disciplinati dalle regole proprie del diritto privato (e non da quelle del diritto amministrativo, o del diritto tributario). La tariffa essendo causalmente legata al servizio ed inserita nel rapporto sinallagmatico con l’utente è legittimamente pagata solo allorquando la controprestazione sia effettivamente resa, pena la realizzazione di un ingiustificato arricchimento. A seguito di tale sentenza, è stato emanato il D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 13. In particolare, l’art. 8 sexies, comma 1, del decreto citato, stabilisce che «gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti di depurazione, nonché quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d’ambito, costituiscono una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato che concorre alla determinazione del corrispettivo dovuto dall’utente. Detta componente è pertanto dovuta al gestore dall’utenza, nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, a decorrere dall’avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione, purché alle stesse si proceda nel rispetto dei tempi programmati». In tal senso, il legislatore trasforma il corrispettivo dovuto anche in assenza dell’impianto di depurazione in una componente che concorre a determinare la tariffa del servizio idrico. I predetti oneri rappresentano, quindi, una quota «vincolata» della tariffa che ha natura di corrispettivo. Con il decreto del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare 30 settembre 2009 sono stati poi stabiliti i criteri e le modalità per la restituzione delle somme indebitamente versate dagli utenti per il canone di depurazione delle acque nonostante la mancanza degli impianti di depurazione o la loro inattività temporanea. L’art. 5 del decreto citato – rubricato «oneri deducibili» – stabilisce che «dall’importo da restituire vanno dedotte le componenti di costo della tariffa di riferimento di cui ai punti 3.2. (ammortamenti e accantonamenti) e/o 3.3 (remunerazione del capitale investito), dell’allegato al decreto del Ministero dei lavori pubblici d’intesa con il Ministro dell’ambiente 1° agosto 1996, determinate in relazione ai costi effettivamente sostenuti per le attività di progettazione, realizzazione, completamento dell’impianto di depurazione a servizio di ciascun utente avente diritto alla restituzione. Sono da considerare deducibili ai sensi del comma 1 anche i costi sostenuti dal gestore per l’attivazione di impianti temporaneamente inattivi, come definiti all’art. 2 del presente decreto, limitatamente al periodo in cui non hanno fornito il servizio. Non sono invece deducibili gli oneri connessi a finanziamenti pubblici a fondo perduto». Orbene, applicando la normativa richiamata al caso esposto nella richiesta di parere, risulta evidente che le risorse qualificate dallo stesso Comune interpellante come «a fondo perduto» (annualità 1999-2008), inerenti alla realizzazione dell’impianto di depurazione, non devono essere decurtate dall’importo da restituire agli utenti, perché si tratta di erogazione di capitale per il quale non viene chiesto alcun rimborso dall’ente finanziatore.