Consiglio di Stato 811 del 12.2.2013
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 811 del 12/2/2013 ha chiarito che l’appello alla sentenza del TAR per le controversie riguardanti l’affidamento dei tributi locali va proposto entro tre mesi dal deposito della pronuncia di primo grado. Nella circostanza il Comune eccepiva la tardività del ricorso in appello, atteso che lo stesso era stato proposto ben oltre il termine dimidiato di tre mesi dal deposito della sentenza del TAR, trovando nella specie applicazione l’art. 119 del codice sul processo amministrativo. I Giudici di Palazzo Spada ritengono l’eccezione fondata. Ed invero, l’art. 119 del codice del processo amministrativo dispone espressamente che nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti concernenti le “procedure” di affidamento di pubblici servizi, il termine processuale ordinario per proporre appello è dimezzato. Ne consegue che, per i giudizi anzidetti, il termine di sei mesi previsto dall’art. 92 del codice per proporre appello in difetto della notificazione della sentenza, è ridotto a tre mesi dalla pubblicazione della sentenza stessa. Ciò premessa, il Consiglio di Stato osserva che la controversia verte sulla risoluzione per inadempimento del contratto di concessione di pubblico servizio e rientra quindi tra le materie soggette al rito abbreviato contemplate dal richiamato art. 119 del codice. Infatti, il termine “affidamento di servizi” usato dal legislatore, deve senz’altro intendersi come riferito sia agli appalti che alle concessioni di pubblico servizio, per chiare ragioni testuali e sistematiche. Testuali, in quanto la norma considera in modo unitario la “procedura” di affidamento, senza operare alcuna distinzione tra appalti e concessioni di pubblici servizi. Sistematiche, in quanto una disciplina differenziata dei due istituti si porrebbe in palese contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, volte ad assicurare la massima speditezza nell’intera “materia” degli affidamenti pubblici di lavori, servizi, e forniture, senza distinzione di sorta. Non sussistono peraltro le condizioni per poter ritenere scusabile l’errore in cui è incorsa l’appellante. Per un verso, infatti, la normativa nella specie applicabile è chiara nei suoi disposti, come già precisato, e la fattispecie per cui è causa non pone particolari problemi interpretativi in ordine alla sua riconducibilità a tale normativa. Per altro verso, non viene puntualmente ed adeguatamente comprovato come il giudizio di primo grado, asseritamente svoltosi nel rispetto dei termini processuali ordinari, abbia oggettivamente indotto la ricorrente in errore circa il rito da seguire in appello. Tale evenienza, quindi, si risolve in una mera asserzione di per sè inidonea a consentire la concessione dell’errore scusabile, anche (e proprio) con riguardo al generale principio recentemente elaborato in materia dalla decisione n. 32/2012 dell’Adunanza Plenaria, che postula comunque la dimostrazione in concreto della assenza di qualsivoglia altro indizio circa la necessita di seguire il rito speciale.